domenica 23 dicembre 2007

Anna Politkovskaja “Woman of the Year”


Putin è stato eletto “Person of the Year” dal Time. Molti sono perplessi, ma non sanno che al secondo e al terzo posto si sono classificati lo Yeti e l’incredibile Hulk. Non c’era scelta e ha vinto a mani basse l’ex tenente colonnello del KGB. Esiste del resto un precedente. Nel 1939 il Time premiò Stalin, alleato dei nazisti.

L’ex seminarista che aveva occupato la Polonia per liberarla dai reazionari ufficiali polacchi con un proiettile nella nuca nelle
fosse di Katyn.L'anno prima il Time aveva indicato Adolf Hitler come uomo dell'anno...

Se il Time propone Putin, questo
blog premia come “Woman of the Year Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa a Mosca nell’ottobre del 2006.

Riporto il suo giudizio su Putin dal libro “La Russia di Putin” di Adelphi. “Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà.
E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione …
Breznev è stato pessimo, Andropov sanguinario sotto una patina di democrazia, Cernienko un idiota. Gorbaciov non piaceva. Eltsin ogni tanto ci costringeva a farci il segno della croce per timore delle conseguenze delle sue decisioni. Colui che è stato una loro guardia del corpo, assegnato allo scaglione 25 con il compito di starsene impalato nel cordone di sicurezza quando il corteo di VIP sfrecciava oltre, proprio lui, Putin, incederà sul tappeto rosso della sala del Cremlino. Da padrone. Tra lo scintillio degli ori degli zar appena tirati a lucido, mentre la servitù sorriderà sottomessa e i suoi sodali – tutti ex pesci piccoli del KGB assurti a ruolo di grande importanza – gonfieranno il petto … Putin ha dimostrato più volte di non comprendere il concetto stesso di dibattito. E tanto meno quello di “dibattito politico”: chi sta sopra non discute con chi sta sotto, e se chi sta sotto si permette di farlo diventa un nemico. Se Putin si comporta in questo modo non lo fa perché è un tiranno o un despota congenito, ma perché così gli è stato insegnato. Queste sono le categorie che gli ha insegnato il KGB e che lui stesso ritiene ideali, come ha più volte dichiarato … Per questo rifiuta i dibattiti pre-elettorali: non sono il suo ambiente, non è capace di parteciparvi, non sa reggere un dialogo. La sua arte è quella del monologo, il suo schema quello militare: da basso rango era costretto a non fiatare? Ora che sono in cima alla scala parlo, anzi monologo, e che gli altri fingano d’essere d'accordo con me.” Anna Politkovskaja

testo tratto dal blog di Beppe

venerdì 21 dicembre 2007

Pechino 2008: Olimpiadi e diritti umani in Cina


La Sezione Italiana di Amnesty International prende parte da mercoledì 5 dicembre alla campagna mondiale dell’associazione per chiedere alla Cina l’adozione e l’attuazione di riforme significative nel campo dei diritti umani, in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008.

Il principale obiettivo della campagna di Amnesty International è che la Cina onori l’impegno assunto di fronte al Comitato olimpico internazionale (Cio). Nell’aprile 2001, Kiu Jingmin, vicepresidente del Comitato promotore di Pechino 2008, affermò: “Assegnando a Pechino i Giochi, aiuterete lo sviluppo dei diritti umani”.

A otto mesi dall’inizio delle Olimpiadi e nonostante alcune riforme in tema di pena di morte e di maggiore libertà di stampa per i media internazionali, questo impegno appare lontano dall’essere rispettato.

In vista delle Olimpiadi, presentiamo al governo cinese quattro richieste fondamentali: adottare provvedimenti che riducano significativamente l’applicazione della pena di morte, come primo passo verso la sua completa abolizione; applicare tutte le forme di detenzione in accordo con le norme e gli standard internazionali sui diritti umani e introdurre misure che tutelino il diritto a un processo equo e prevengano la tortura; garantire piena libertà d’azione ai difensori dei diritti umani, ponendo fine a minacce, intimidazioni, arresti e condanne nei loro confronti; porre fine alla censura, soprattutto nei confronti degli utenti di Internet.

Scarica la scheda

Per maggiori informazioni: pechino2008@amnesty.it

martedì 18 dicembre 2007

Le morti “bianche”...

Scritto da Yushin M. Marassi in Generali

Ho deciso di pubblicare un’amara riflessione sulle condizioni di lavoro in Italia. È una visuale “dal di dentro”: l’autore è stato per molti anni impegnato come dirigente nel settore prevenzione e sicurezza sul lavoro.

I Giorni del Cordoglio

Vi piacciono le storie a lieto fine? Be’, oggi non è la vostra giornata: quella che vi voglio raccontare è la storia dei morti sul lavoro in Italia. Un storiaccia a cui molti contribuiscono. Anche solo non volendo sapere nulla.
Questa volta provate a metterci un poco di pazienza, e di attenzione: mille morti all’anno meritano due pagine di attenzione.

Quando entrarono in vigore, in Italia negli anni ‘90, i due decreti legislativi che recepivano – con grave e doloso ritardo – numerose Direttive Europee in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, la classe imprenditoriale insorse immediatamente con grida di allarme, protestando contro le nuove norme vessatorie, repressive e persecutorie: “Inapplicabili! Così, tutto insieme e su due piedi!…”

Peccato che artatamente omettessero un piccolo particolare: i due decreti - il D. Lgs 626 e qualche anno dopo il 494 specifico per l’edilizia – di ‘nuovo’ portavano solamente una definizione del quadro organizzativo aziendale in materia di sicurezza e l’identificazione di alcuni soggetti responsabili per i vari settori.

Sì, è vero: c’era anche qualche piccolo aggiornamento delle norme ‘tecniche’ in vigore nel nostro Paese; mai aggiornate da quasi 40 anni! Infatti il DPR 303 (riguardante l’igiene del lavoro) è datato 1956 ed il DPR 547 (norme per la prevenzione infortuni) è del 1955. Per 40 anni praticamente ignorati, dunque!
Non sono certo mancate, nel tempo, le ‘fotografie’ della situazione in materia di sicurezza: basta dare una occhiata alla relazione Smuraglia del 22.7.97, (per chi volesse saperne di più: Relazione Smuraglia). Non temete, non è cambiato granché da allora.

Gli organi preposti al controllo sono, nel nostro Paese, una miriade: dalle Procure all’Ispettorato del Lavoro, dalle Regioni ai Comuni, dai Carabinieri ai Comitato Paritetici alle ASL e chissà quanti altri che ora non mi affiorano alla mente.
Già, la Sanità.

E’ titolare di buona parte di queste funzioni, ma certamente ne farebbe volentieri a meno: pensate, avere al proprio soldo degli ispettori che possono in qualunque momento anche indagare e vigilare su di te o sui tuoi amici imprenditori e politici dei quali magari tu stesso sei un consulente lautamente pagato. Che smacco! E quindi, giù di fantasia per governare (nel lessico di ‘sinistra’) o controllare (nel lessico di ‘destra’) l’attività dei ‘Servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro’.

Vale tutto:

primo, non assumere il personale (in molte Asl italiane l’organico è ancora simbolico; in una Regione ‘avanzata’ come il Piemonte gli organici sono stati assunti solo dopo anni di braccio di ferro con la Procura, grazie alla incessante azione di ‘capa-tosta’ Raffaele Guariniello);

secondo, non fornirgli mezzi e risorse;

terzo intimidirlo e, qualora non bastasse, minacciarlo e ricattarlo su money, carriera, luogo di lavoro;

quarto, incentivare economicamente e quindi privilegiare le attività di formazione, assistenza e consulenza che, anche se non compatibile con la funzione, certamente non disturba nessuno;

quinto, scegliere dirigenti politicamente controllabili (ah, gli amici degli amici!) che reggano il gioco;

sesto….Principale interesse dei managers della Sanità: avere dati statistici più o meno veritieri e indicativi da presentare agli organi politici ed ai convegni ufficiali. I cosiddetti dati ‘salvapoltrona’.

E i sindacati? Troppo occupati a usare la sicurezza come strumento di pressione per rivendicazioni salariali ed occupazionali.

Quale è, dunque, il prezzo di questo andazzo? Più o meno il 3% del Pil sono i costi socio-sanitario-assistenziali derivanti dagli infortuni (relazione Smuraglia cap II.5): non sono stimabili quelli per le malattie professionali (circa l’1,5% ?). Totale, circa il 4,5% del Pil! Vero Luca Cordero di Montezemolo?!
Ah, dimenticavo… c’è anche un costo marginale: qualche morto, qualche orfano, qualche disabile a vita…quelli della ThyssenKrupp …
Ma per questi basta versare una lacrima.

testo tratto dalla Stella del Mattino

martedì 11 dicembre 2007

IO SONO VIVO!

UNA INIZIATIVA DI AMICI DELLA TERRA E IKEA ITALIA, IN COLLABORAZIONE CON IL COMUNE DI BORDANO, PER MANTENERE IN VITA E RIPIANTARE GLI ALBERI DI NATALE RICONCILIANDO TRADIZIONE E NATURA.

Io sono vivo” è un’iniziativa volta al recupero, al reinserimento e al mantenimento in natura degli alberi di Natale acquistati presso i negozi IKEA in Italia, stimolando la riflessione sulla sostenibilità dei nostri comportamenti e sul corretto approccio all’utilizzo delle risorse naturali. L'iniziativa si sviluppa su tre momenti:
  1. Come ogni anno presso i negozi IKEA di tutta Italia, saranno posti in vendita alberi di Natale vivi, corredati di un depliant che mira a sensibilizzare i clienti sull'albero appena acquistato con tutte le istruzioni necessarie per mantenerlo in vita e in buone condizioni.
  2. Ogni albero, infatti, dopo l'Epifania avrà la possibilità di essere riportato nei negozi IKEA, che rimborseranno ai clienti la somma pagata per il suo acquisto con un buono dello stesso valore.
  3. A partire da metà gennaio gli alberi riconsegnati e sopravvissuti alla permanenza nelle case saranno reimpiantati a Bordano (www.bordano.org) in provincia di Udine, a cura degli Amici della Terra.
Sulle montagne friulane gli alberi riportati contribuiranno ad allestire un parco nell’ambito di progetti sul territorio, promossi e seguiti dagli Amici della Terra.
Nel parco sarà realizzata una nuova “Casa delle Farfalle”, un centro naturalistico espositivo finalizzato a comunicare a ragazzi e ad adulti la complessità e la bellezza dei cicli della natura e l'importanza della conservazione delle farfalle e dei loro ambienti.
I

l progetto di Bordano, insieme alla “Butterfly Arc” di Montegrotto Terme (www.casadellefarfalle.it) e al “Parco delle farfalle” di Monteserra a Viagrande sulle falde dell’Etna (http://web.tiscali.it/parcomonteserra), costituisce una rete di centri di educazione ambientale promossi e sponsorizzati dagli Amici della Terra.

testo tratto da Ikea.it

E' un iniziativa bellissima... Ti compri l'albero, lo addobbi per Natale e ci fai le feste e se lo riporti indietro in buone condizioni ti ridanno i soldi sotto forma di buono e in più ripiantano l'albero. Questo è il vero spirito natalizio!!!

giovedì 6 dicembre 2007

Il sottobosco della "piccola" editoria

Intervista con Silvia Ognibene, autrice di "Esordienti da spennare" di Davide Pelanda - Megachip

Il titolo è significativo: “Esordienti da spennare” e si riferisce a quelle persone, giovani o meno giovani, che vogliono pubblicare un libro, un manoscritto che tengono da troppo tempo nel cassetto. E che si lanciano nella jungla dell'editoria.

Questo agile volumetto, scritto da Silvia Ognibene, giornalista free lance fiorentina, vuole mettere in guardia e “difendersi dagli editori a pagamento” come recita il sottotitolo.
In questo caso l'editore onesto è Terre di Mezzo (1 copia 12 euro) che gli ha commissionato il libro su di una «idea di Davide Musso della redazione di Terre di Mezzo editore – spiega la stessa Ognibene - che stava scrivendo un altro libro, intitolato “Voglio fare lo scrittore”, uscito proprio insieme al mio.

Cominciando le ricerche per il suo libro, Davide ha sfiorato il mondo dell'editoria a pagamento ed ha avuto l'idea di un secondo libro, dedicato a questo argomento. Dal canto mio, ho accettato subito e di buon grado la proposta perché scrivere questo libro mi ha permesso di avvicinarmi ad un mondo che non conoscevo assolutamente».

E' ovvio allora che non hai avuto difficoltà a trovare un editore che non ti facesse pagare tutta l'operazione?

Ho avuto la grande fortuna di non dovermi cercare un editore: è stato l'editore a cercare me, per commissionarmi il libro. Avevo conosciuto Davide Musso collaborando per il mensile Altreconomia. Conosceva il mio lavoro di giornalista e ha ritenuto che avessi le competenze giuste per condurre l'inchiesta dalla quale poi è nato il libro.

Il libro parte da una tua esperienza personale: hai confezionato, un po' raffazzonato, un manoscritto… e nessuno se n'è accorto. Possibile che nelle case editrici da te contattate nessuno si sia accorto che era uno scherzo? Che minimamente si siano insospettiti della tua, passami il termine, “trappola”?

“Trappola” è il termine giusto. Il punto è che gli editori a pagamento mandano in stampa di tutto, i manoscritti non li leggono nemmeno perché non fanno profitti sul mercato librario, cioè vendendo i libri ai lettori, ma si garantiscono il guadagno nelle tasche degli autori che cascano nel tranello.

Hai avuto problemi con gli editori che hai citato? Lo hanno letto? Sono arrivate delle querele?

Per il momento non ho ricevuto nessuna querela. Non so se questo dipenda dal fatto che gli editori a pagamento citati non hanno letto il libro, oppure sia dovuto al fatto che non hanno elementi per potermi querelare. Io ho fatto semplicemente il mio mestiere. Ho inviato un manoscritto, ho atteso che mi inviassero le proposte di contratto per posta, poi ho telefonato per avere spiegazioni sulle modalità di pubblicazione. E nel libro ho riportato pari pari le loro risposte.

Che cosa hai capito scrivendo questo libro?

Ho capito che quello del libro è un mercato che segue le medesime logiche di tutti gli altri e che, per questo, fare prodotti di qualità e sopravvivere alla politica del prodotto di massa (scarsa qualità per un pubblico più vasto possibile) è un mestiere difficile, arduo che va saputo fare bene. Ho capito che in Italia ci sono editori piccoli, ma onesti e seri, che si impegnano per fare ricerca, scoprire nuove voci, offrire libri di buona qualità e tenere contemporaneamente in piedi l'azienda editoriale ricercando, con sforzo, un difficile equilibrio finanziario. Ho capito che gli editori piccoli possono sopravvivere se puntano tutto sulla qualità. Ho capito che, assieme ad essi, il panorama editoriale italiano è infestato da gente senza scrupoli, che non ha interesse a pubblicare buone opere, ma solo a far quattrini nelle tasche degli sprovveduti.

Quanto è difficile per un giovane esordiente diventare uno scrittore affermato in Italia?

Esordire è difficile ma non impossibile. Oggi pubblicare è più facile che in passato, sia perché ci sono più case editrici sia perché produrre costa meno grazie all'abbattimento dei costi di stampa.

A patto che l'aspirante esordiente sia disposto ad affrontare un cammino sicuramente più faticoso che staccare un assegno. A questo proposito, Giorgio Pozzi della casa editrice Fernandel mi ha detto: “Ci sono due gradini il primo è quello della scrittura, dove sei solo con te stesso. Nessuno può togliertelo. Nessuno può dirti di non scrivere. Il secondo gradino è quello della pubblicazione, che significa dare vita ad un prodotto capace di stare sul mercato. Per far questo servono, in primo luogo, pazienza e capacità di autocritica. È fondamentale saper leggere e riconoscere la bravura altrui”. Pagare l'editore non è una buona soluzione anche perché è l'esordiente che per primo mostra di non credere a sufficienza nelle proprie capacità. E, quando poi decide di presentarsi al cospetto di un editore ‘vero', l'aver pubblicato a pagamento non è un buon biglietto da visita da esibire.

Commentando il ritornello “anche Moravia per esordire ha pagato”, Daniele di Gennaro di Minimum Fax mi ha detto: “Non esiste un ottimo libro che prima o poi non venga pubblicato. Ogni scrittore che fa un quotidiano lavoro sulla lingua ed è cosciente di valere, prima o poi, trova il modo di farsi leggere da un autore o un editor, o da un critico letterario che lo segnalerà. Moravia si sarebbe comunque affermato per il suo valore”. La scrittura, insomma, va affrontata come un mestiere.

Intraprendenza, poi, è una parola chiave per gli aspiranti scrittori: non basta saper scrivere e mettere su carta buone cose, bisogna “stare nel giro”. Conoscere e farsi conoscere. Dimenticare il mito romantico del genio nascosto che invia il manoscritto al grande editore e, improvvisamente, diventa un successo planetario. Nella vita vera, tutto questo non esiste. Infine c'è Internet, fonte inesauribile di informazioni per gli esordienti, dove si possono trovare anche alcune buone palestre per cominciare a scrivere sul serio, provare a farsi vedere e mettersi alla prova senza prosciugare il portafogli.

All'estero è più facile pubblicare un libro? Hai sentito di esperienze per esempio in Francia, in Germania o in Inghilterra?

Per quanto riguarda la narrativa, non ho avuto modo di valutare le esperienze di aspiranti autori che vivono in altri paesi europei. Posso, però, dirti qualcosa a proposito della poesia. Per la poesia è vero che non c'è mercato e quindi anche case editrici autorevoli, serie e oneste chiedono il sostegno economico agli autori per pubblicare, perché i libri di poesia non si vendono. In questo caso bisogna stare molto attenti, perché ci si può trovare davanti a un mascalzone che vuole solo spillarti soldi, oppure a persone oneste che hanno veramente a cuore la cultura e usano davvero il denaro ricevuto dagli autori per mandare avanti case editrici piccole, ma di grande professionalità e qualità, che altrimenti sarebbero destinate a chiudere. Questo accade perché in Italia manca completamente il sostegno pubblico alla cultura e in particolare alla cultura giovane, alle attività sperimentali e di ricerca. In Francia, al contrario, ci sono consistenti finanziamenti pubblici destinati a queste attività. Queste cose me le ha spiegate Goffredo Muratgia, un giovane poeta romano molto in gamba, che ha avuto la possibilità di sperimentare entrambi i paesi.

Tu vuoi essere un'aspirante scrittrice? Hai un romanzo nel cassetto?

Assolutamente no. In passato, l'idea mi è frullata nella testa più di una volta, diciamo che era un sogno di ragazzina. Ma, poi, andando avanti negli anni e conoscendomi, mi sono resa conto di non essere abbastanza capace. La scrittura creativa, in primo luogo, ti costringe a guardarti dentro, a fare in un certo senso i conti con te stesso e con i tuoi rapporti col mondo, con gli altri, a sfiorare le corde più profonde dell'esistenza. Ecco, io non ho questo coraggio. E probabilmente non lo troverò mai. Ho accettato questo mio limite, questa vigliaccheria sei vuoi, e ho messo da parte l'idea di scrivere un romanzo.

Credi nelle scuole di scrittura come quella di Alessandro Baricco, la Holden a Torino?

Non ho avuto modo di affrontare questo tema per scrivere il libro. L'idea c'era, inizialmente, ma poi ci siamo resi conto che avremmo allargato eccessivamente il campo dell'inchiesta e abbiamo lasciato stare. Quindi, non posso risponderti. Magari, però, un'inchiesta su questo argomento prima o poi ce la faccio!

Dalla tua esperienza di questo libro te la senti di dare un consiglio ad un giovane aspirante scrittore? Come conviene muoversi? Con un avvocato appresso?

In primo luogo, sarà banale quanto vuoi, si deve stare attenti a quel che si firma. Nella gran parte dei casi, infatti, l'editore non commette niente di illegale perché è l'autore a mettere la propria firma in calce ad un contratto dove c'è scritto che pagherà per vedere pubblicata la propria opera. In secondo luogo, va detto che l'editoria a pagamento prospera perché c'è chi paga per vedere il proprio nome su una copertina qualsiasi. Sono gli aspiranti scrittori la causa prima di una fenomeno odioso. Pagare per pubblicare è decisamente sconsigliato. Ma se proprio si decide di farlo, bisogna stare bene attenti a cosa si firma. Il contratto deve essere chiaro ed esaustivo soprattutto per quanto riguarda la distribuzione in libreria, perché il problema vero dell'editoria a pagamento è che i libri vengono stampati ma non vengono distribuiti. In calce al libro c'è una scheda riassuntiva, che indica i punti del contratto da controllare con attenzione assoluta se non si vuole rimanere fregati. All'avvocato, semmai, si ricorre quando ormai siamo rimasti fregati, cioè quando ci siamo resi conto che l'editore non rispetta gli impegni presi con il contratto. Ma, in linea di massima, gli editori a pagamento sono molto attenti a non inserire nei contratti clausole che possano obbligarli in qualche modo nei confronti dell'autore. Per evitare di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati, è bene valutare bene i termini della proposta prima di firmarla.

In Italia è difficile anche affermarsi come giovane bravo giornalista. Ed è arduo anche farsi pagare il giusto previsto dal tariffario dell'Ordine dei giornalisti. E' così? Ti riesce difficile fare il tuo lavoro di free lance?

Per certi aspetti il cammino di aspirante giornalista è simile a quello di aspirante scrittore: sono percorsi lunghi, che richiedono passione, dedizione e tanta pazienza. Io non mi lamento. Vivo onestamente e decorosamente del mio lavoro, mi diverto lavorando: cosa vuoi di più? Ma arrivarci è stata dura. Il giornalismo, in Italia, soffre di condizionamenti altrove impensabili. Il punto, a mio avviso, è che non esistono editori puri (con questo intendo imprenditori che vivono grazie alla vendita di notizie) il che offre il fianco a condizionamenti e pressioni di ogni tipo, specialmente politico. In Italia chi fa informazione vive grazie alla pubblicità, che condiziona i contenuti i modo sempre più preoccupante, oppure in virtù di convenzioni con le Istituzioni sia a livello locale che centrale: è evidente che, con questo stato di cose, fare i ‘cani da guardia del potere' diventa impossibile. Da questo, che a mio avviso è il nodo centrale della questione, discendono a cascata tutti gli altri problemi: l'estrema difficoltà nell'accesso alla professione, regolato secondo criteri che troppo spesso non hanno niente a che fare con la preparazione e la competenza; un giornalismo che io talvolta definisco “all'amatriciana”, troppo disinvolto nell'uso delle fonti e più attento a non urtare la suscettibilità del CDA invece che a ricostruire i fatti; un Ordine che non si capisce bene cosa ci stia a fare: abbiamo un elenco di pubblicisti, dove figurano dentisti e macellai che scrivono a tempo perso a fianco di persone che vivono facendo il mestiere di giornalista con professionalità e competenza. In termini formali, fra queste due categorie non c'è distinzione. Credo serva una riforma radicale dell'accesso alla professione: pochi, adeguatamente preparati, dignitosamente pagati.

tratto da Megachips.com

Ho deciso di postare questa bella intervista perchè permette di comprendere le reali difficoltà che deve affrontare un giovane scrittore o giornalista di fronte al mondo dell'editoria.
Ormai sempre più pieno di libri spazzatura che però vendono (il libro di Totti, di Bongiorno o della Franzoni) che vendono perchè sono "scritti" da personaggi famosi che vogliono solo arricchirsi facilmente.

Spero che il post e/o il libro possano aiutare qualcuno nella speranza di diventare scrittore, in ogni caso in bocca al lupo...