venerdì 30 maggio 2008

Gomorra di Garrone: backstage da brividi....


Ho letto un'intervista al regista del film Gomorra fatta al Venerdì di Repubblica del 16 maggio scorso. In quell'occasione Matteo Garrone afferma cose secondo me incredibili!! Inaccettabili!! E cioè cito testualmente "... Garrone per girare Gomorra ci ha vissuto sei mesi: tre di preparazione e tre di riprese nel girone infernale delle Vele di Scampia.

Con la benedizione della Camorra che ha riservato al set un'ala del famigerato ecomostro in via di sgombero, una roccaforte dei traffici off limits protetta da sentinelle. O' Sistema ha fornito alla troupe anche i pass individuali da appiccicare al petto per accedere al suo territorio, superando gli sbarramenti. Alla lavorazione (...) hanno partecipato anche le anime dannate di Scampia (...) Tra i consulenti qualificati anche un capopiazza, che ha avuto una piccola parte nel film, a controlare sul monitor e dare qualche dritta. ..." .

Se ciò corrisponde al vero, mi sembra pazzesco che un regista debba chiedere permessi e lasciapassare alla camorra per fare un film. Che ricatti bisogna subire per fare un film? Perchè, mi chiedo, Garrone non ha denunciato queste assurde cose alla Polizia? Perchè Roberto Saviano, autore dell'omonimo libro, deve girare scortato perchè ha dato fastidio alla camorra e questo regista Garrone invece, per non avere problemi e non rischiare la vita, addirittura arruola nel film un capopiazza? Che assurdità!! Fossi stato in lui avrei scelto un altro set a costo di riprodurre le Vele di Scampia in uno studio di Cinecittà.

Ricordo una analoga situazione con la regista Roberta Torre quando a Palermo ha girato "Tano da morire" : anche lì si vociferava che avesse dovuto pagare una sorta di pizzo alla mafia che gli ha permesso di fare quel film che era una satira della mafia siciliana.

Ma la cosa che ancor più mi indigna di GOMORRA e Garrone (film non libro) è che tra i produttori c'è anche RAI Cinema che ha finaziato e dato lavoro ad un capopiazza, con i nostri soldi, perchè fino a prova contraria il nostro canone tv e la mia parte è servita per pagare questo che Repubblica chiama "consulente qualificato" cioè questo capopiazza!!! Pazzesco!! Assurdo!! Infatti scoprendo ciò ero quasi dell'idea di non andarci più a vederlo. Eppure vincerà il premio a Cannes. E nessuno si è accorto di nulla.

A conferma e complemento dell'articolo di Pelanda, pubblichiamo la testimonianza di Antonio Musella, del Laboratorio Occupato "Insurgencia" di Napoli, autore del volume "Mi rifiuto", pubblicato di recente da "Sensibili alle foglie".

Io conosco bene Scampia, abitando nel quartiere accanto. Abbiamo anche li' alcune sedi di lotta, e diversi nostri compagni sono del quartiere. Nello specifico conosciamo benissimo "le Vele", quel micromondo, e come e' avvenuta la produzione di Gomorra. Il quadro e' molto piu' nero. La Produzione ha pagato profumatamente per fare le riprese nelle Vele. Garrone in realta' si e' visto pochissimo, per la maggior parte si sono affidati ad una sorta di talent scout locali (del quartiere di Piscinola e so anche chi sono...) che hanno fatto da intermediari per i clan per permettere le riprese. Ovviamente gli stessi gestivano le comparse che venivano pagate. In compenso le scene nelle Vele corrispondono assolutamente alla verita' non e' nulla di costruito, e' tutto ultra reale. Perche' Garrone non e' andato alla polizia? Questa e' Napoli, e la polizia non avrebbe potuto farci assolutamente nulla.

Le Vele, cosi' come tantissimi altri quartieri della citta' sono luoghi dove la polizia non entra neppure, e se lo fa, o lo fa per prendersi le mazzette sotto le "piazze di droga", oppure per le operazioni in grande stile, ma deve farlo armata fino ad i denti... La Caserma dei carabinieri di Scampia si trova accanto alla Vela Rossa.....Ci vivono barricati dento, con i cancelli chiusi, e non vedono e non sentono nulla.... La storia dei pass individuali e' una cagata.... La troupe arrivava la mattina accompagnata dai due talent scout locali che ti dicevo ed il loro laciapassare erano questi due. Questi due non sono "nessuno" per intenderci, ed uno di loro dice pure di essere un compagno, vivono di questo sostanzialmente. Infatti si e' sviluppato un mercato sullo spettacolo delle vele, della droga, dei tossici sotto le piazze di droga, dell'affiliato al clan che rilascia l'intervista a volto coperto.

Questi talen scout di noialtri, sono sostanzialemnte disoccupati, attendono l'arrivo di televisioni straniere per portarli nel girone dell'inferno pagando ovviamente. Poi se c'e' bisogno dell'intervista al boss o allo spacciatore loro sempre pagando te la fanno pure fare. Questo e' il motivo per cui le troupe straniere filamano molto di piu' che quelle italiane....
Poi quando capita fanno i casting per le produzioni di Rai e Mediaset quando servono personaggi o comparse con "facce di periferia". Diciamo che anche questo "mestiere" fa parte della famigerata arte di arrangiarsi.

di Davide Pelanda - Megachip

martedì 27 maggio 2008

Equospazio, la nuova community di Altromercato!

Equospazio è la nuova community di Altromercato aperta a tutti: consumatori, sostenitori, volontari, lavoratori delle Botteghe, soci o semplici simpatizzanti. Finalmente tutti i sostenitori del fair trade avranno a disposizione uno 'spazio' per esprimere le proprie opinioni e condividere il proprio modo di vivere il commercio equo e solidale.

Iscrivendoti a Equospazio potrai: aggiungere commenti alle pagine del sito, creare la tua pagina personale, commentare i blog tematici, partecipare a forum di discussione, rispondere a questionari e sondaggi, "metterci la faccia", ricevere le newsletter Altromercato News e Finanza Solidale.

Registrati subito e diventa anche tu attore di una nuova economia solidale!

Io ho già "messo la faccia" e tu cosa aspetti...

p.s nellla foto sono io in sella alla mia mitica bici sulle stradine della Corsica la scorsa estate, mamma che faticata che è stata...

sabato 24 maggio 2008

Un secco NO al Nucleare!!!


Vent’anni dal referendum sul nucleare in Italia (9 novembre 1987),e ventidue dall’esplosione del reattore di Chernobyl (26 aprile 1986): due eventi da ricordare assieme. I nuclearisti sostengono che l’esito di quel referendum fu un tragico errore, motivato da una paura irrazionale: il ripetersi di quel che era da poco successo.

Sulla base di questa presunta irrazionalità, oggi Enel sta contravvenendo a un
a delle indicazioni di quel referendum, il terzo quesito che ha abrogato la norma che consentiva all’Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero.
In realtà c’erano allora ottime ragioni per opporsi al nucle
are. Le stesse che valgono anche oggi, e si riducono ai tre grandi problemi che accompagnano la tecnologia nucleare fin dalla sua nascita.

I costi innanzi tutto, tanto alti che il nucleare è economicamente sostenibile solo se è sovvenzionato dallo Stato, e anche così non è facile convincere i privati a investire nel settore. Non è certo un caso se da trent’anni non è più stata ordinata nessuna nuova centrale nucleare negli Usa, dove pure non mancano le spinte favorevoli del governo, né si può dimenticare la brutta esperienza di British Energy, la compagnia privata inglese cui furono affidati in gestione, nel 1996, otto impianti nucleari e che nel giro di sei anni arrivò al collasso finanziario per l’incapacità di sostenere i costi operativi. L’unica centrale attualmente in costruzione in Europa, quella di Olkiluoto in Finlandia, è di fatto fuori mercato.

La società committente, Tvo, è formata da un gruppo di grandi industrie finlandesi, che si impegnano a garantire l’acquisto dell’energia elettrica prodotta, anche se si prevede che costerà tre volte tanto rispetto a una centrale a gas. Anche la Francia, dove il ruolo dello Stato nel sostenere l’industria nucleare è sempre stato evidente, pare intenzionata a costruire nuove centrali. Una scelta legata alla volontà di sviluppare e mantenere una propria filiera nucleare, anche per scopi militari. Lo stesso motivo che spinge i governi di Cina e India, i due Paesi dove nei prossimi anni si costruiranno il maggior numero di centrali nucleari.

Qui sta il secondo grosso problema, quello della sicurezza delle centrali e dell’intero ciclo del combustibile, sia rispetto a eventuali incidenti che rispetto al suo possibile uso milita
re. Nessuno è ancora in grado di escludere la possibilità di incidenti gravi. Si può fare il massimo per ridurne la probabilità, ma l’avvento dei tanto decantati reattori intrinsecamente sicuri (di quarta generazione) è ancora lontano. Ci vorranno almeno una trentina d’anni. Gli errori umani o strumentali sono ancora possibili e le conseguenze possono essere catastrofiche. La migliore dimostrazione che questo rischio esiste è che nessuna compagnia assicurativa è disponibile a stipulare una polizza che copra interamente le responsabilità verso le popolazioni interessate.

Nel caso di Chernobyl si parla di centinaia di miliardi di dollari, una cifra che farebbe fallire qualunque compagnia e che infatti è stata spalmata sui contribuenti e sulle migliaia di volontari che continuano a dare il loro aiuto alle popolazioni colpite. Oggi che il “sarcofago” in cui è custodito il nocciolo radioattivo della centrale si sta deteriorando in modo preoccupante, non si sa bene chi pagherà il miliardo di euro necessari per costruire una nuova copertura. Ma è il secondo aspetto della sicurezza a essere ancor più drammatico, come insegna il caso attualissimo dell’Iran, l’inseparabilità tra usi civili e militari della tecnologia nucleare.

Qualunque Paese che punta all’indipendenza energetica, un obiettivo certamente legittimo, e volesse perseguirla anche nel settore nucleare, deve dotarsi di una filiera di arricchimento dell’uranio e di processamento del combustibile esausto che può essere utilizzata anche per produrre armi nucleari. L’unico modo per evitarlo è costringere quel Paese a dipendere dalle potenze nucleari per le sue forniture di combustibile, rinunciando così a ogni ambizione di autonomia.

Il terzo problema è quello delle scorie radioattive che le centrali nucleari producono durante il funzionamento e al momento della loro chiusura. Nessun Paese è riuscito a costruire un deposito per quelle scorie, che rimangono altamente radioattive per centinaia di migliaia di anni. È semplicemente impossibile garantire la custodia in assoluta sicurezza di queste scorie per un tempo così lungo, tutto quello che si può fare è cercare di valutare i rischi e quantificare il costo della loro riduzione sotto una soglia accettabile. Ma qual è questa soglia accettabile, e che diritto abbiamo di stabilirla in nome delle generazioni future?

Il problema, già grave, diventerà drammatico con lo smantellamento delle molte centrali prossime alla fine del loro ciclo di vita. La dismissione di una centrale nucleare richiede tempi lunghi, basti pensare che i piani per quelle italiane, messe fuori servizio negli anni 80, prevedono la restituzione delle aree libere entro il 2018-2020. La Sogin (sotto) ha condizionato il rispetto dei tempi alla realizzazione, entro il 2009, del Deposito nazionale per le scorie ad alta attività. Un’evenutalità che appare improbabile.

La scelta contro il nucleare era, e resta, ben motivata, e il referendum di vent’anni fa conferma il suo valore impegnativo e squisitamente politico. Una scelta che non si poteva allora, e non si può oggi, lasciare ai tecnici. Si tratta di decidere se le risorse pubbliche devono andare a sostenere una tecnologia costosa e rischiosa o destinate allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e al risparmio energetico.
di Emilio Novati

Allora c'è ancora qualcuno sano di mente che vuole ancora investire nel nucleare??

venerdì 16 maggio 2008

I numeri delle carceri italiane


Ecco il rapporto annuale dell Associazione Antigone ogni anno stila in merito alle condizione delle carceri italiane, un tema a mio avviso importante, ma mai analizzato dalla pubblica informazione. Come se color che commettono reati non abbiano diritto ad una locazione giusta e equa all'interno della quale scontare la propria pena.

Quello qui sotto è il rapporto del 2005 di più recenti non sono riuscito a trovarne in rete. Di dimensione diciamo "ridotte".

RAPPORTO ANNUALE DELLE CARCERI ITALIANE A CURA DELL'ASSOCIAZIONE ANTIGONE

Al 31 dicembre 2005 sono 59.523 (maschi e femmine) i detenuti reclusi nei 207 istituti penitenziari italiani, suddivisi tra 36 case di reclusione, 163 case circondariali e otto istituti per le misure di sicurezza (un anno prima, nello stesso periodo di rilevazione dati, si contavano 56.068 detenuti). Le donne recluse sono il 4,7% e ammontano a 2.804 unità, gli stranieri rappresentano circa il 33,32% dell’intera popolazione reclusa e il 27,4% è invece rappresentato da detenuti tossicodipendenti.

A livello nazionale il maggior numero di persone ristrette si trova in Lombardia (8.653) seguono Campania (7.310), Sicilia (6.412) e Lazio (5.895). La stessa tendenza si conferma per le donne: anch’esse concentrate principalmente in Lombardia per un totale di 607 e nel Lazio con 468 donne recluse. La maggior parte dei detenuti ha un’età che va dai 30 ai 34 anni (11.205 unità), seguono i 35-39enni con 10.506 unità, 2.136 (di cui 96 donne) sono gli ultra 60enni.

Tra la popolazione detenuta i più penalizzati sembrano avere queste caratteristiche: celibi/nubili (29.872 soggetti) in possesso di un basso grado d’istruzione. 21.453 (36,9%) con licenza di scuola media inferiore; 13.059 (23,6%) di scuola elementare e 852 (1,4%) sono analfabeti. Solo lo 0,9% (565 detenuti) possiede una laurea.

Molti i nuovi ingressi in carcere dalla libertà nell’anno 2005, ben 89.887 (80.957 uomini e 8.930 donne), di questi il 45% è rappresentato da stranieri. Nello specifico i nuovi ingressi riguardano 45.755 italiani e 3.526 italiane; 35.202 stranieri e 5.404 straniere.

Nel 2005 ben 57 detenuti si sono tolti la vita; 22 sono morti per cause in corso di accertamento e già 9 sono stati i suicidi accertati nei primi due mesi del 2006.

Altro discorso va fatto per tutte quelle persone che hanno commesso reati e sono state internate negli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) perché sofferenti di disturbi psichici. Gli ultimi dati forniti (Dap 2001) parlano di 1.282 soggetti ristretti nei sei Opg operativi in Italia.


Nella tabella 1 vediamo il quadro della situazione carceraria italiana che si evince dai dati elaborati dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap).
Considerazione a parte a cui andrebbe data una lettura specifica e più approfondita è quella inerente la situazione del sovraffollamento in carcere, un problema generalizzato degli a
ttuali sistemi penitenziari non solo italiani ma anche europei.
La percentuale di sovraffollamento è legata al concetto di "capienza ottimale" di un istituto di reclusione. In Italia, nelle statistiche sono presenti due concetti di capienza: "ottimale" e "tollerabile" (in questo caso il termine designato di capienza tollerabile consente di valutare in maniera meno grave le cifre sul sovraffollamento). Secondo gli ultimi dati riferiti dall’Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo autorizzato del Dap risultano avere un numero di detenuti superiore rispetto alla capienza ottimale qu
asi tutti gli istituti di pena presenti in Italia: 59.523 detenuti contro una capienza massima di circa 43 mila posti.

In Lombardia per una capienza regolamentare di 5.657 persone (dati al 30 giugno 2005) risultano ristretti 8.613 detenuti; in Sicilia sono detenute 6.189 persone per una capienza pari a 4.441 unità; in Campania 7.350 detenuti presenti per una capienza regolamentare di 5.423 unità e così via per tutte le regioni italiane con punte più o meno "tollerabili" ma sempre abbondanti rispetto al numero regolamentare di capienza. L’unica eccezione che si osserva nella media statistica è quella degli istituti della Sardegna che al momento della rilevazione presentano 1.853 detenuti per una capienza regolamentare di 1.987 soggetti.

Il Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario avrebbe dovuto migliorare le condizioni dei detenuti in Italia; in realtà è ben diversa la situazione riscontrata nei penitenziari italiani e pubblicata in un cd-rom dall’Associazione Antigone a settembre del 2005. Carcere per carcere, nel rapporto vengono evidenziate le violazioni alla legge. Il lavoro di osservazione diretta, portato avanti dall’associazione, ha riguardato le condizioni di vita materiale di un numero di detenuti superiore al 50% dell’intera popolazione reclusa.

Ecco alcuni dati rilevati per ciò che concerne le celle:

  • non ha doccia l’89,4% dei detenuti;

  • non ha acqua calda il 69,31%;

  • non ha il bidet il 60% delle detenute;

  • il 12,8% dei detenuti vive in celle dove il bagno non è collocato in un vano separato, bensì vicino al letto;

  • il 55,6% vive in carceri dove non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta;

  • il 29,3% non può accendere le luci all’interno della propria cella (gli interruttori sono situati all’esterno);

  • il 7,69% vive in celle con schermature alle finestre che rendono insufficiente l’illuminazione naturale;

  • il 18,4% vive in un ambiente costantemente illuminato;

  • il 64,39% è ristretto in carceri dove non esiste la figura del mediatore culturale.

551 sono gli educatori, rispetto ai 1.376 previsti nella pianta organica ministeriale. Il rapporto educatore/detenuto è di 1 a 107. Gli assistenti sociali in servizio risultano essere 1.223, rispetto ai 1630 previsti dalla pianta organica. Il rapporto è di un assistente sociale ogni 48 detenuti. Gli psicologi sono circa 400, con una media pressoché di due psicologi per ogni istituto, ma la loro presenza si limita a poche ore al mese. Il rapporto psicologo/detenuto risulta comunque di 1 a 148.

Ma quanto costa un detenuto? Secondo i dati riferiti dall’ultimo bilancio del Dap, il costo medio giornaliero di un detenuto è di 131,67 euro contro i 63 dollari degli Stati Uniti, poco più di 76 euro. A fronte di un organico di 43 mila unità di agenti di polizia penitenziaria, si conta un agente ogni 1,4 detenuti, contro una media europea di un agente ogni 3 detenuti e quella americana di uno ogni 7 reclusi.

I figli fuori e dentro

Se si considera il numero totale di figli che in Italia ha almeno un genitore in carcere la situazione è piuttosto preoccupante. Secondo l’indagine del Dap che considera i soggetti di cui è noto lo stato di paternità o maternità, escludendo coloro che non hanno figli e coloro per i quali il dato non è disponibile, ammontano a 21.422 i figli che alla fine del 2005 hanno un genitore ristretto. È la Campania ad avere più figli con genitori in carcere per un totale di 3.292 unità. Seguono la Sicilia con 3.116, la Lombardia con 2.477, il Lazio con 1.912, la Puglia con 1.834 e la Toscana con 1.235.

Per ciò che attiene alle 2.804 donne detenute al 30 giugno 2005, 44 sono le mamme con figli conviventi in istituto (erano 41 nel 1998) e 45 (13 nel Lazio) i bambini da zero a tre anni presenti in carcere. Alla stessa data di rilevazione 38 donne risultano in stato di gravidanza, di queste 13 in Lombardia. All’interno delle strutture sono 16 gli asili nido funzionanti. Le madri detenute sembrano essere perlopiù donne immigrate e donne tossicodipendenti.

Sovente hanno avuto condanne per reati contro la legge sugli stupefacenti, reati familiari ed ex prostitute colpevoli di favoreggiamento della prostituzione.

In Italia risulta ancora troppo marginale, secondo gli esperti, il ricorso a misure alternative, se si considera che in 15 anni sono quadruplicate le persone in regime di esecuzione penale, a oggi circa 180 mila unità. Seguendo le attività svolte dagli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) dell’Amministrazione penitenziaria, in relazione alle misure alternative alla detenzione e remissione del debito e alle misure di sicurezza non detentive si calcola 31.958 i casi seguiti (che comprendono i casi pervenuti nel periodo di rilevazione più i casi in carico al 1° gennaio 2005) in "affidamento in prova al servizio sociale", di questi il numero più consistente è rappresentato dagli "affidati dalla libertà" pari al 40% del totale dei casi seguiti. Seguono 3.458 i casi di semilibertà e 14.527 i casi seguiti di detenzione domiciliare.

Per quanto riguarda le misure di sicurezza, il numero di casi seguiti (che comprendono i casi pervenuti nel periodo di rilevazione più i casi in carico al 1° gennaio 2005) arriva a 2.348 "libertà vigilate". Di questi il numero più consistente si registra nelle regioni del Meridione. Mentre 539 sono le sanzioni sostitutive (semidetenzione e libertà controllata), e la maggior parte si concentra nelle regioni del Nord Italia.

Le statistiche concernenti la condizione lavorativa prima dell’ingresso in carcere fanno rilevare che 12.757 detenuti prima di essere ristretti avevano una regolare occupazione, poco distanti sono quelli che al momento dell’ingresso erano disoccupati (11.691 soggetti), 422 invece le/i casalinghe/i, 293 gli studenti e 244 i pensionati.

Una volta in carcere la situazione lavorativa rilevata al 30 giugno 2005 parla di 14.595 detenuti lavoranti pari al 24,7% del totale della popolazione carceraria. La maggior parte (11.824) è alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e viene occupata in servizi di istituto, manutenzione di fabbricati, lavorazioni varie e in colonie agricole.

Tra i 2.771 detenuti non alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (19% del totale dei detenuti lavoranti), vanno segnalati i "semiliberi" che lavorano in proprio (89) o alle dipendenze di datori di lavoro esterni (1.554); i detenuti lavoratori esterni (494); i lavoranti negli istituti per conto di imprese (157) e cooperative (477). Gli stranieri occupati rappresentano il 23% dell’intera popolazione lavorativa, sono circa 4.376 (3.966 sono quelli alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria).

Posizioni giuridiche e condanne definitive

Il 62% dei 59.523 detenuti ha avuto una pena definitiva, ossia 36.676 detenuti (di cui 1.578 donne), il 2% è internato, il 36% è ancora ascrivibile all’area degli "imputati" (tra questi: il 56,4% sono "giudicabili", il 30,8% "appellanti" e il 12,8% "ricorrenti").

Per quanto concerne la durata della pena inflitta, il 30,7% ha avuto una pena fino a tre anni, il 30,6% da tre a sei anni, il 15,4% da sei a 10 anni, il 13,7% (5.026 detenuti) da 10 a 20 anni e il 9,6% oltre i 20 anni o l’ergastolo (di questi 2.304 sono i soggetti che sconteranno oltre 20 anni di carcere e 1.224 – di cui 27 donne – quelli condannati all’ergastolo). Il 30,3% dei soggetti ristretti sta scontando la pena per aver commesso reati contro il patrimonio; seguono la violazione della legge sulle armi con il 16%, reati connessi alla droga 14,6%, reati contro la persona 14,8%. Da segnalare un 3,5% detenuto per reati contro la Pubblica amministrazione, un 2,5% per reati legati all’associazione di stampo mafioso e l’1,5% per reati relativi alla legge sugli stranieri.
1.770 sono i soggetti in regime di semilibertà, di questi 1.595 italiani e 175 stranieri (vedi tabella 2).

Detenuti stranieri

Al 31 dicembre del 2004 erano rinchiusi 17.819 immigrati su un totale di 56.068 detenuti. Dati aggiornati al 31 dicembre 2005 rivelano che degli oltre 59 mila detenuti presenti sono stranieri 19.836 soggetti. L’area geografica più "rappresentata" in carcere è l’Africa con il 49,3% del totale dei detenuti stranieri ristretti. Sono africani 9.571 persone di cui oltre 4 mila marocchini (il 21,2% del totale dei detenuti stranieri) seguono i 7.868 europei (2.971 albanesi, il 15% del totale dei detenuti stranieri presenti), i 976 asiatici e i 1.389 americani (principalmente provengono dall’America del Sud). Degli 89.887 nuovi ingressi nell’anno 2005 gli stranieri rappresentano il 45%; 35.202 gli uomini e 5.404 le donne (nel corso dei primi sei mesi del 2005 ne sono entrate in carcere 2.546). Un discorso a parte riguarda le donne: delle 1.302 ristrette alla data del 31 dicembre 2005 molte sono di nazionalità europea e provengono dall’ex Jugoslavia (210) e dalla Romania (185).

Lavora il 23% dei detenuti stranieri. Alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria 3.966 soggetti e 410 impiegati in attività lavorative non legate alla gestione del carcere. Prevalentemente sono gli uomini a lavorare, solo 373 donne straniere sono occupate in attività lavorative.

Tossicodipendenti e malati d’Aids

Secondo il Dap - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - Sezione statistica, i detenuti con ascritti reati di cui all’art. 73 del T.U. 309/90 – cioè reati legati alla produzione e al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (situazione al 30 giugno 2005) – sono 23.012 di cui 9.990 stranieri. Sono 16.179 i consumatori di sostanze illegali presenti in carcere al 30 giugno 2005, il 27,6% uomini (15.511) e il 23,4% donne (668). In trattamento metadonico 1.974 soggetti e 1.386 alcoldipendenti . I detenuti stranieri tossicodipendenti sono 3.016 (81 le donne). Alla data della rilevazione 6.792 persone con problemi di alcol e droga usufruiscono della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47 ter della legge 354/75.

Su un totale di 1.525 detenuti affetti da Hiv (pari al 2,6% dei detenuti presenti) 1.260 sono tossicodipendenti, di questi la maggior parte è ristretta negli istituti di Lombardia (250 soggetti con Hiv), Lazio (222) e Piemonte (218). Sul totale dei detenuti affetti da Aids risultano affetti da malattie indicative di Aids l’11,5%; sintomatici il 22,2 e asintomatici il 66,4. C’è da sottolineare che il numero può risultare sottostimato poiché il test per l’Hiv è volontario.

Sabrina Lupacchini e Sonia Postacchini

martedì 13 maggio 2008

Il Mio Libro, da oggi si può pubblicare di tutto


Ho trovato un'iniziativa molto interessante si chiama Il Mio Libro. E' stata lanciata da Repubblica. E' molto semplice, ma anche molto efficace.

Insomma per farla breve chiunque ha mai scritto un racconto, un saggio, un romanzo o la lista della spesa, può far rilegare il proprio racconto ad un prezzo conveniente, circa 10 euro per 250 pagine. Direi che non è male!!


La cosa interessante è che si può fare il tutto da casa, via mail si manda il testo e dopo pochi giorni (così dicono) ti arriva per posta il tuo scritto.
Inoltre puoi decidere se fare in modo che la copia sia esclusivamente tua oppure cosa molto più utile ed importante, quasi sicuramente pagando, pubblicizzare attraverso Il Mio Libro il tuo romanzo online.
E dire che non è niente male, visto che emergere nel mondo dell'editoria o si è dei geni o si conosce il sig. Feltrinelli...

Che ve ne pare?? Fatevi sentiere nell'area commenti.

domenica 11 maggio 2008

Distributori Equi e Solidali

Ecco un altro articolo riguardante il commercio equo e solidale, questa volta arriva dalla Cooperativa Chico Mendes (Altromercato e Botteghe dela Mondo). Questa notizia è rivolta a tutti coloro che lavorano in ufficio o in aree lavorative dove si potrebbe installare un distributore di snack e bevande equi e solidali.

La cooperativa Chico Mendes fornisce in comodato gratuito distributori automatici di bevande e snack e macchine del caffè espresso di diverse dimensioni, per permettere ai consumatori sensibili di continuare a bere un "buon" caffè anche negli ambienti di lavoro, di volontariato, di formazione o di svago.

Prodotti
Le bevande e gli snack utilizzati sono prodotti equi e solidali e/o biologici, scelti per portare anche nel settore vending la passione per la qualità dei prodotti alimentari e l'impegno verso produzioni che rispettino l'uomo e l'ambiente. Il caffè, in cialde e in grani, proveniente da produttori della Tanzania, Uganda, Nicaragua e Guatemala, è un prodotto Altromercato, che garantisce un guadagno dignitoso ai produttori, rapporti commerciali paritari e continuativi, sostegno allo sviluppo locale.

La miscela classica Altromercato contiene solo il 40% di qualità robusta (in commercio le miscele tradizionali contengono percentuali molto più elevate) che conferisce carattere e forza, e il 60% di qualità arabica, più pregiata, che ne addolcisce e arrotonda il sapore, in modo da garantire una tazza piena, aromatica, con sentori che ne esaltano la corposità senza pregiudicarne l'equilibrio finale, lasciando in bocca un retrogusto dolce.

Il , le tisane e gli infusi, confezionati in cialde monodose, sono della linea Dr. Ernst: prodotti completamente naturali, utili per risolvere alcuni tipi di malessere, ma anche per rendere più piacevole la pausa durante l'orario di lavoro.

Sono disponibili: tè verde al ginseng bio - Pu-Erh Tea (tè nero) - tisana regolatrice - tisana rilassante - infuso di menta - infuso di semi di finocchio.

Distributori I distributori e le macchine sono forniti in comodato gratuito, con servizio di installazione e la manutenzione senza oneri per il cliente.
Puoi scegliere il tipo di distributore che più si adatta alle tue esigenze :macchine per caffè in cialde di carta

  • Bevande calde: caffè Altromercato, caffè decaffeinato bio, caffè d'orzo bio, tè a diversi gusti, tisane e infusi distributori di bevande calde
  • Bevande Calde: caffè Altromercato, espresso, lungo, macchiato, cappuccino, cioccolata, tè, caffè d'orzo distributori di bevande fredde
  • Bibite: acqua, Guaranito, nettare equo e solidale di mango, guava e guaranà, tè verde bio al limone, cola bio, aranciata bio, gazzosa bio distributori di snack
  • Snack : Pequeña al sesamo altromercato, Barrita alle noci altromercato, snack dolce Bribon altromercato in vari gusti, merendine al riso soffiato e cioccolato bio, tortine miele e limone bio, strudellini alla frutta bio, crostatine bio, schiacciatine, taralli.
Per informazioni, scrivi all'ufficio vending

sabato 10 maggio 2008

Muhammad Yunus e la sua Grameen Bank!!

Ecco una bella intervista datata 2003 di Andrea Semplici a Muhammad Yunus. Dedicata a tutte quelle persone che pensano che non si può fare niente pe aiutare le popolazioni del terzo mondo, che tanto i soldi che si danno in beneficenza: "Chissà poi dove vanno a finire..."

Ma soprattutto la dedico a coloro che dicono che le idee non cambiano il mondo!!

di Andrea Semplici

Quando lo abbiamo incontrato, in occasione di uno dei suoi viaggi in Italia, Muhammad Yunus aveva già i capelli d’argento e l’aria tranquilla.
Ed era già conosciuto in tutto il mondo com
e il “Banchiere dei poveri”.

A noi che lo intervistavamo per il libro “Umanizzare lo sviluppo” (ed. Rosenberg & Sellier/Ucodep), raccontava così l’inizio di quell’avventura che oggi lo ha portato sulle prime pagine dei quotidiani come vincitore del premio Nobel per la pace: era il 1974 e, nelle misere strade del villaggio di Jobra, Yunus incontrò una donna che intrecciava bambù per fare sgabelli. Sufia era brava, abile, infaticabile. E poverissima.
Non guadagnava più di due centesimi di dollaro al giorno. Era costretta a comprare la materia prima da un c
ommerciante-usuraio che obbligava la donna a rivendere solo a lui i suoi sgabelli. Con 22 centesimi di dollari, Sufia si sarebbe affrancata dal suo “padrone”, avrebbe potuto acquistare il bambù liberamente e rivenderlo, con profitti più alti, al mercato del paese: avrebbe, in altre parole, cominciato a sconfiggere la povertà.

Fu una rivelazione: Yunus gettò alle ortiche le teorie economiche e finanziarie che insegnava all’università e creò, nel 1977, le fondamenta della Grameen Bank, la banca che prestava denaro ai poveri.

Grameen Bank rilascia crediti senza chiedere alcuna garanzia. E praticamente non esiste insolvenza: il 98% dei clienti della “banca dei poveri” paga con regolarità i suoi debiti. Studi e ricerche della Banca mondiale hanno documentato come l’attività
della strana banca bengalese abbia provocato, negli anni, “un aumento generale dei livelli di sviluppo” del Bangladesh. Programmi ispirati a Grameen Bank sono oggi operativi in decine e decine di Paesi del mondo, comprese nazioni ricche come gli Stati Uniti, il Canada, la Francia, la Norvegia, l’Olanda e la Finlandia.


- Professor Yunus, lei davvero crede che sia possibile sconfiggere la povertà?
“Grameen Bank è conosciuta come la Banca dei poveri. E io trovo questa definizione esatta. Grameen Bank nasce come una ribellione a un sistema bancario colpevole di mettere in atto una inaccettabile apartheid finanziaria. Le banche convenzionali non concedono prestiti ai poveri. Le donne, in Bangladesh, sono escluse dal credito. Le istituzioni finanziarie internazionali sono ingiuste. L’espe
rienza di Grameen Bank dimostra che è stato possibile prestare denaro direttamente a milioni di persone. Il 95% di queste persone sono donne. Tutte restituiscono il loro debito. Le condizioni di vita dei poveri che hanno beneficiato di programmi di microcredito sono migliorate. Se le banche e i grandi organismi finanziari aprissero le loro porte, se i banchieri non fossero miopi ed egoisti, potremmo davvero sconfiggere la povertà. Il credito deve diventare un diritto umano. Se il sistema finanziario concedesse opportunità ai poveri, il mondo ne ricaverebbe solo vantaggi: ogni essere umano ha creatività straordinarie e formidabili capacità. La povertà potrebbe essere sconfitta se le grandi istituzioni finanziarie, pubbliche e private, fossero capaci di sfruttare l’immensa potenzialità di ogni essere umano. Escludere i poveri dall’economia è una perdita per lo sviluppo dell’umanità”.


- Il 95% dei clienti di Grameen Bank sono donne. La banca non presta agli uomini?
“In Bangladesh solo l’1% dei clienti delle banche convenzionali erano donne. Era una discriminazione ingiusta. Nei primi anni di vita di Grameen Bank ci ponemmo l’obiettivo di avere la metà dei clienti donne. Non fu facile: erano intimorite e ci rispondevano: ‘Date i soldi a mio marito’. Abbiamo impiegato sei anni per raggiungere quel risultato del 50% di clienti donne. E ci accorgemmo subito che erano più impegnate, più responsabili, più creative degli uomini. Non solo: se concedevamo un prestito a una donna, eravamo certi che ne avrebbe beneficiato l’intera famiglia. La donna pensava ai figli, l’uomo si assumeva minori responsabilità. Le donne hanno una visione del futuro più solida, fanno progetti a lungo periodo, mentre l’uomo vuole godersi subito quel poco che ha. Le donne hanno la capacità di gestire la vita quotidiana con risorse scarsissime e quindi sanno sfruttare al massimo i prestiti che ricevono. Le donne sono diventate, per questo, la priorità di Grameen Bank. Abbiamo dovuto vincere diffidenze, incentivare i nostri impiegati perché si convincessero a lavorare con le donne che oggi sono la quasi totalità dei soci-clienti della banca”.


- Tutte le previsioni sostengono che il divario fra ricchi e poveri crescerà. Professor Yunus, non crede di essere troppo ottimista?

“Il mio impegno prioritario è la lotta alla povertà. Le statistiche delle Nazioni Unite rivelano che un miliardo e mezzo di persone vive con meno di un dollaro al giorno. Questa cifra è destinata a raddoppiare entro il 2040. Io trovo che questo sia intollerabile. Grameen Bank sta cercando di combattere contro la povertà. Noi vogliamo che le condizioni di vita dei poveri migliorino. Che abbiano una casa, educazione, cure sanitarie adeguate. Che non soffrano la fame. E che abbiano opportunità, che possano scegliere la loro vita. A noi interessano coloro che stanno sull’ultimo gradino della scala sociale. È vero che, nel frattempo, i ricchi diventano sempre più ricchi. Ma questo divario fra ricchi e poveri è una questione secondaria. Io ho fiducia nella tecnologia: troveremo soluzioni capaci di cambiare il modo di produrre e consumare dei ricchi. E sono altrettanto convinto che migliori condizioni di vita dei poveri rappresentino un beneficio per tutti. Il mondo, escludendo i poveri, rinuncia al loro contributo a un benessere generale, rifiuta la loro partecipazioni allo sviluppo. E non solo: i poveri sono un grande mercato. In Bangladesh sessanta milioni di persone, la metà della popolazione, non possiedono uno spazzolino da denti. Se tutti avessero la possibilità di acquistare uno spazzolino da denti, chi li vende farebbe un affare colossale. I poveri possono essere produttori, inventori e consumatori. È una grande sciocchezza escluderli dall’economia”.


- Si aspetta l’obiezione? Se tutti i cinesi usassero carta igieni
ca, non ci sarebbero più alberi nel mondo…
“Non è certo un buon argomento. Non possiamo escludere i cinesi dal consumo della carta igienica solo perché i ricchi hanno distrutto le foreste. Il mondo deve ridurre il consumo di carta. Noi dobbiamo inventare un sistema di riciclaggio oppure dobbiamo scovare qualcosa che sostituisca la carta igienica. Sarà necessario ripiantare gli alberi che abbattiamo per produrre questa carta. L’economia deve essere sostenibile. Ma è il mondo dei ricchi che ha già distrutto le sue foreste. Non può scaricare le sue colpe sui poveri, non può costringere i cinesi a non usare la carta igienica”.


- Lo ha già detto: lei ha fiducia nella tecnologia. Ma, ancora una volta, gran parte degli economisti sostiene che Internet renderà ancor più grande il gap fra ricchi e poveri. È così?

“La scoperta del fuoco, in sé, non è stato né un evento positivo, né un evento negativo. Il fuoco può distruggere, con il fuoco si possono bruciare persone e case, si possono compiere devastazioni. Ma il fuoco riscalda, il fuoco permette di forgiare i metalli e fondere il vetro, il fuoco consente di costruire splendide opere d’arte e, grazie a questa tecnologia, si cucinano ottimi cibi. Il fuoco è tecnologia. L’uomo decide come usarla. Internet è tecnologia. Vuoi usarla per impoverire il mondo, lo puoi fare. Vuoi usarla per migliorare il mondo, puoi fare anche questo. A te la scelta. Non aver paura di Internet, devi aver timore di quello che tu puoi fare. Non dare la colpa a Internet, dai la colpa a te stesso”.


- Se io usassi le parole “libero mercato dei poveri”, lei sarebbe d’accordo? Lei vuole che i poveri entrino in questa economia, non in un’altra economia?

“Mi dica quale altra economia esiste? Sì, sono d’accordo. Io voglio che i poveri diventino degli ex-poveri. Il nostro impegno è liberare le immense potenzialità dei poveri. Io sono certo che proprio gli ultimi della terra, i senzacasa, i detenuti, i violenti, i tossicodipendenti, abbiano grandi capacità. La società non vuole concederli nessuna opportunità. Non possiamo limitarci a una semplice assistenza, alla carità: gli uomini non sono animali, non sono bestie rinchiuse in uno zoo in cui ogni tanto andiamo a dare da mangiare. Ogni essere umano deve partecipare alla vita di questo mondo”.


- Grameen Bank presterebbe soldi a chi non è povero? Grameen Bank presterebbe denaro a un povero che, grazie al vostro appoggio, non è più povero, ma vuole ingrandire la sua attività?
“ L’economia si basa sul denaro. E Grameen Bank presta denaro ai poveri. Il povero deve avere soldi per realizzare le sue idee, il suo commercio, la sua attività. I poveri sono gli azionisti di Grameen Bank, ne sono i padroni. E un impiegato della banca non può cacciare il suo proprietario. Se l’attività di un povero ha successo, la banca non cesserà di finanziarla: sarebbe sciocco fermarsi, perderemmo un buon cliente. Spesso mi è stato chiesto: ‘Qual è l’obiettivo finale di Grameen Bank?’ Noi oggi stiamo prestando denaro a milioni di persone in Bangladesh. Vogliamo che non siano più povere. Il nostro sogno è che, nel più breve tempo possibile, la banca cambi la sua identità: vorremmo che la ‘banca dei poveri’ diventasse la ‘banca degli ex-poveri’. Siamo anche ottimisti e siamo convinti che ci riusciremo. Alcuni poveri avranno bisogno di più tempo, altri riusciranno prima a uscire dal tunnel della povertà. Ma la nostra direzione è chiara, come chiaro è il nostro obiettivo: eliminare la povertà”.


- La globalizzazione non è un fenomeno così imponente da minacciare il microcredito e da condannare i poveri alla miseria?
“Ancora una volta: la globalizzazione, di per sé, non ha colpe. Non è un processo che minaccia o favorisce i poveri. Se gestita nel modo corretto potrà offrire grandi opportunità. Potrebbe consentire ai poveri di allargare i confini della loro economia, di scavalcare i recinti angusti del proprio villaggio. Potrebbe migliorarne le condizioni di vita”.


- Professor Yunus, lei insegnava economia. Crede ancora nelle teorie economiche?
“Ho la sensazione che l’economia basi le sue leggi su presupposti che ignorano gli esseri umani. L’economia tratta gli uomini e le donne come macchine e nega gli elementi essenziali della natura umana. L’economia prevede solo due attori sulla scena: gli imprenditori e i lavoratori. E considera gli imprenditori come persone dalle capacità eccezionali. Sono state create istituzioni che difendono solo questa casta. E così sono state ignorate le potenzialità della gran massa dell’umanità. L’economia ama definirsi come una scienza sociale. Non lo è: l’economia parla di lavoro e di manodopera. Non parla di uomini, donne e bambini. Una scienza che vorrebbe essere sociale non può ignorare l’ambiente che pretende di analizzare”.