domenica 6 maggio 2007

Amnesty International presenta i dati sulla pena di morte nel 2006: calano le esecuzioni, cresce la spinta per una moratoria universale


Un mondo senza pena di morte è possibile, se i governi influenti intenderanno dare un segnale di leadership politica. Lo ha dichiarato oggi Irene Khan, presentando a Roma i dati di Amnesty International sulla pena di morte nel 2006.


“Chiediamo una moratoria universale sulle esecuzioni. L’anno scorso, il 91% delle esecuzioni è stato registrato in soli sei paesi: Cina, Iran, Iraq, Pakistan, Sudan e Usa. Questi sostenitori a oltranza delle esecuzioni sono isolati e ormai non più in sintonia con la tendenza mondiale” – ha affermato Irene Khan.

Nel 1977, solo 16 paesi avevano abolito la pena di morte per tutti i reati. Trent’anni dopo, il numero degli abolizionisti continua a crescere, creando le condizioni per porre fine alla pena capitale. Nel 2006, le Filippine sono diventate il 99° paese ad averla abolita per reati ordinari. Molti altri, tra cui la Corea del Sud, sono vicini all’abolizione.


L’anno scorso in Africa, solo sei paesi hanno compiuto esecuzioni. In Europa, la Bielorussia è l’unico Stato che continua a ricorrere alla pena capitale, mentre gli Usa restano il solo paese delle Americhe ad aver eseguito condanne a morte dal 2003.

Secondo i dati di Amnesty International, il numero delle esecuzioni nel mondo è sceso da 2148 nel 2005 a 1591 nel 2006.

L’Iraq si è aggiunto alla lista dei leader mondiali delle esecuzioni. L’uso della pena di morte in questo paese è cresciuto rapidamente dopo la reintroduzione, avvenuta a metà del 2004. Da allora, vi sono state oltre 270 condanne a morte e almeno 100 esecuzioni: nessuna nel 2004, tre nel 2005. Quanto al 2006, le immagini dell’impiccagione di Saddam Hussein a dicembre hanno sviato l’attenzione dalla drammatica escalation delle esecuzioni, con oltre 65 persone messe a morte nel corso dell’anno, tra cui due donne.

Le esecuzioni in Iran, almeno 177, sono quasi raddoppiate rispetto al 2005. Il Pakistan ha fatto un salto in avanti nella classifica dei paesi che più usano la pena di morte, con almeno 82 esecuzioni. In Sudan sono state almeno 65, ma si teme che il dato effettivo possa essere più alto. Negli Usa, 53 persone sono state messe a morte in 12 Stati. L’Iran e il Pakistan sono stati gli unici due paesi in cui, in violazione del diritto internazionale, sono stati messi a morte minorenni all’epoca del reato, rispettivamente quattro e uno.

La Cina continua a essere il paese leader delle esecuzioni. Amnesty International ha registrato almeno 1000 esecuzioni. I dati sulla pena di morte sono considerati un segreto di Stato e si ritiene che il numero effettivo delle persone messe a morte possa arrivare a 8000.

“I dati sulla pena di morte nel 2006 sono inaccettabili, tuttavia persino in Iraq e in Cina rappresentanti dello Stato hanno espresso il desiderio di vedere la fine dell’uso della pena capitale” – ha aggiunto Irene Khan.

Amnesty International mette in luce una serie di casi che testimoniano la natura crudele, arbitraria e iniqua della pena di morte e la devastante sofferenza causata da ogni esecuzione:

• Kuwait: Sanjaya Rowan Kumara, originario dello Sri Lanka, è stato messo a morte a novembre. Dichiarato morto subito dopo l’impiccagione, è stato portato all’obitorio, dove i medici si sono accorti che si muoveva ancora. Ulteriori esami medici hanno riscontrato un debole battito cardiaco. È stato dichiarato morto cinque ore dopo l’inizio dell’esecuzione.
• Florida, Usa: a dicembre, il governatore Jeb Bush ha sospeso tutte le esecuzioni nello Stato e ha istituito una commissione “per valutare l’umanità e la costituzionalità dell’iniezione letale”. La decisione è stata presa a seguito dell’esecuzione di Angel Diaz, che ha sofferto 34 minuti prima che ne fosse dichiarata la morte. In seguito è emerso che l’ago con cui gli veniva somministrata l’iniezione di veleno gli aveva trapassato la vena, col risultato che le sostanze letali erano state iniettate nei tessuti.
• In Iran, nonostante nel 2002 il presidente dell’autorità giudiziaria abbia dichiarato una moratoria sulla lapidazione, un uomo e una donna sono stati uccisi a colpi di pietre nel maggio 2006. Le pietre sono scelte di dimensioni tali da provocare una morte lenta e dolorosa piuttosto che istantanea.

Il rischio di mettere a morte innocenti esiste sempre e comunque. Nel 2006, tre persone sono state dichiarate innocenti dopo aver trascorso anni e anni nei bracci della morte di Giamaica, Tanzania e Usa.

Si ritiene che siano circa 20.000 i prigionieri detenuti nei bracci della morte, in attesa di essere uccisi dallo Stato.

2 commenti:

Mercurio ha detto...

Non posso che esprimere contentezza per la diminuzione delle esecuzioni capitali nel mondo, anche se stati molto influenti nella politica e nell'economia mondiale continuano ad utilizzare la pena di morte. Siamo sulla buona strada per sradicare una pratica ingiusta, retaggio di tempi antichi.

Rastlin Majere ha detto...

Complimenti al nostro capo redattore che lascia sul blog sempre argomenti attuali e soprattutto fonte di aperte e serie discussioni. Avendo letto anche il commento di mercurio non posso che essere d'accordo su questo fatto, anche se certe volte con quello che accade nel mondo e il modo in cui vengono portate a termine certe stragi o anche assassini che coinvolgono due sole persone ( spesso bambini come è accaduto di recente qui in Italia ), non posso che chiedermi se 16 anni con attenuanti, buona condotta e pentimenti vari possano essere giuste punizioni per chi ha perso madri, padri o figli, spesso , uniche ragioni di vita.